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    Posted by: Paolo Luppi Posted date: 14:49 / comment : 0




    PAOLO LUPPI L’IMBIANCHEÍN

    Testo  di  GIORGINA NERI                                                                                                                                         Foto: Collezione LUPPI



    Bisogna considerare che il primo della famiglia Luppi a prendere il pennello in mano e alternare il lavoro dei campi con la tinteggiatura delle case fu il nonno, e diede il via ad un mestiere che è stato – dei figli ieri ed oggi è del nipote Paolo. Il nonno era di radici Crevalcoresi e nel poco tempo libero che gli restava suonava la piva, una specie di piffero, per questo gli fu dato il soprannome di Pivàt e i suoi discendenti sono conosciuti a tutt’oggi come i Pevét: sono così quasi tre generazioni di validi artigiani.
    La ditta Luppi vera e propria nasce nel 1960 ed era composta dal padre Mario, dallo zio Giorgio e dall’altro Zio Vittorio che lasciò dopo poco tempo.
    I primi ricordi di lavoro del nostro imbanchino Paolo risalgono a quando a 10-12 anni andava in cantiere con il padre e faceva il fattorino, allora non c’erano le severe leggi di sicurezza di oggi, c’erano scale lunghe e corte e assi di legno utilizzate a volte a cavallo dei davanzali delle finestre e bilanciate in modo da poter tinteggiare gli esterni: gli imbianchini di una volta erano autentici acrobati. Babbo Mario per il trasporto delle sue attrezzature: scale, assi, bidoni, pertiche con pennellesse legate in cima, usava un “cariolino” con due ruote da bicicletta e con l’asta del traino legata ad un motorino leggero a miscela che allora era chiamato comunemente Mosqui-to. Con questo mezzo si recava sui vari posti di lavoro, spingendosi fino a Bologna, Casalecchio, Isola della Scala. Il lavoro dell’imbianchino aveva una sua gerarchia, c’era “il mastar” (il maestro), che dirigeva il cantiere che è l’equivalente “dal cap mastar” nel settore edile. Le case erano prima ripulite scrostando vecchie mani di tinta e poi passate a calce diluita precedentemente in acqua, si usavano allora le pompe a mano con il tubo a spruzzo come quelle che servivano dare il verderame alle viti.
    I pennelli di vario spessore coprente venivano legati alla base per dare più impronta con sottili corde ed erano usati in modo eccellente per tinteggiare gli angoli e  per le rifiniture di fino.
    Il mestiere dell’imbianchino di un tempo, come si è detto, era precario, come erano precarie le impalcature che lo sostenevano, ma l’ambiente di lavoro era sempre pervaso da un’atmosfera allegra, gli imbianchini cantavano e lavorando si davano voce da un ambiente all’altro con vecchie stornellate, canzoni melodiche e arie di romanze liriche famose; c’era competizione e vinceva quello che teneva l’acuto più a lungo.
    Erano anche rinomati per essere scherzosi mattacchioni. Fra i ricordi del padre, Paolo, ha ripescato una storia veramente accaduta: durante un lavoro importante in un altro palazzo ci fu un’accesa discussione fra Mario e il geometra, pare per motivo di preventivo. Tutti e due volevano aver ragione ad ogni costo e non arrivavano ad un accordo. Il babbo propose una scommessa al tecnico, chi prima arrivava a terra, il geometra per le scale e lui per il ponteggio avrebbe avuto ragione sul motivo del contendere. Arrivò a terra per primo Mario.
    Un’altra volta in un appartamento a Bologna misero in atto uno scherzo. L’immobile era ampio e mentre i nostri decoratori preparavano l’occorrente per imbiancare furono avvertiti dalla padrona di casa di tenere per ultima la stanza in corridoio (in questa dormiva il figlio nottambulo e non andava svegliato). La signora uscì per le sue commissioni e allora scattò l’operazione lampo. Gli imbianchini andarono nell’ultima stanza, coprirono delicatamente il giovanotto che dormiva con i teli impermeabili e svelti svelti imbiancarono la stanza prima dell’arrivo della signora. Il lavoro invero fu eseguito a regola d’arte ma il figlio rimasto sotto i teli era semi soffocato.
    Un altro aneddoto per chiudere: Mario agli inizi della “carriera” non ancora ben esperto lavorava in una chiesa insieme ad un decoratore anziano che si faceva chiamare maestro-pittore; questo gli comandò di salire su una scala altissima a rinfrescare i colori spenti di certi angeli – “Vai tu che sei giovane”, ma Mario rispose un po’ per fifa un po’ per inesperienza che forse non era in grado di portare a compimento il lavoro. Lo rassicurò il maestro: “Non ti preoccupare, usa il pennello come sai, che tant da acsè luntàn anch al dievàl al per un anzal” (tanto da così lontano anche il diavolo pare un angelo).
    Successivamente la tinteggiatura si è evoluta per ciò che riguarda l’utilizzo dei colori, ma la manualità che una volta potremmo definire grezza è cambiata, ora l’imbianchino-decoratore Paolo Luppi punta molto su un’accurata preparazione dell’immobile con coperture curate al millimetro per la salvaguardia degli arredi e l’assoluta pulizia. Una volta muratori e imbianchini erano l’incubo delle donne di casa, ora a lavoro finito e a pareti asciutte, tolte le coperture, la casa rinnovata è perfetta nella sua nuova veste e senza una macchia. Dice Paolo che il suo intervento è l’ultimo anello della filiera edile ed essere l’ottimizzatore di un ambiente gli dà una grande soddisfazione personale e spesso è gratificato dal committente del lavoro.
    Paolo è un giovane quarantenne appagato da un mestiere che fa con passione, per organizzare i suoi lavori si avvale di manovalanza stagionale perché d’inverno si diradano le richieste, fa da solo “ciapini” di interni con pitture autosciuganti veloci e non tossiche, ora ci sono vincoli europei da rispettare; cioè basse soglie di tossicità, tinte ecologiche e non inquinanti.
    Dopo anni di mestiere insieme al padre ha acquisito la capacità di andare incontro ad ogni esigenza del cliente, è diventato un po’ psicologo e alla base di ogni rapporto di lavoro c’è il rispetto ed un’educazione che oggi purtroppo latita in qualsivoglia ambiente.
    Opera “nel piccolo” ma all’occorrenza fa esterni di palazzi con ponteggi, gru e cestello, si realizza a pieno nella verniciatura di telai, persiane, porte.
    Ha eseguito un grosso lavoro di grande soddisfazione all’inizio della Trasversale di Pianura; quando ha questi incarichi da portare a termine lavora anche al sabato e alla domenica – un esempio, per essere nei tempi stabiliti per la consegna ha lavorato anche il 1° maggio. D’inverno come si è scritto in precedenza Paolo ha tempo per riposare, ma poi per questo periodo si è tenuto un hobby di grande entusiasmo lavorativo, è un carnevalaio e porta il suo mestiere nel cantiere dell’Oca Giuliva.
    Parlando del suo mestiere il nostro imbianchino si è dimostrato un ottimo manager di se stesso.
    Se la pubblicità è l’anima del commercio, bisogna aggiungere che è l’anima anche dell’artigia-nato: ha tre vetrine in Via IV Novembre allestite con tutti gli attrezzi del mestiere, pennelli, rullo gigante, cartelle colore per gli infissi, il tutto assemblato con un gusto e uno stile molto accattivante.
    Il suo curriculum stampato su brochure elenca tutte le voci del suo progetto lavorativo, le specializzazioni, i criteri, i preventivi gratuiti e l’utilizzo di prodotti ecologici di alta qualità.
    I mestieri come l’imbianchino, l’idraulico, il falegname, il fornaio richiedono grande manualità e sono richiesti e retribuiti il giusto, ma purtroppo i giovani dopo il diploma, preferiscono andare all’Università e spesso ci si chiede perché mai in questi anni di crisi i ragazzi snobbano questi lavori: “Non è meglio un buon artigiano, si chiede Paolo, che un laureato disoccupato?”
    Ha scritto in versi dialettali la zirudela dl’imbianchéin dalla quale estraggo pochi significativi versi: Dopo aver risolto un problema di cattivi odori in casa di una signora, compiaciuto scrive in dialàtt e in italian:

    … Ancà mé pecco d’orgoglio
    ed ammetterlo qui voglio,
    ho risolto quel problema
    cmé un sculer pôl fér col tema
    e nel farlo avevo in testa
    Papà Mario, che a cà al rèsta
    soul parchè non può adeguare
    la salùt col voler fare.

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