Bisogna
considerare che il primo della famiglia Luppi a prendere il pennello in mano e
alternare il lavoro dei campi con la tinteggiatura delle case fu il nonno, e
diede il via ad un mestiere che è stato – dei figli ieri ed oggi è del nipote
Paolo. Il nonno era di radici Crevalcoresi e nel poco tempo libero che gli
restava suonava la piva, una specie di piffero, per questo gli fu dato il
soprannome di Pivàt e i suoi discendenti sono conosciuti a tutt’oggi come i
Pevét: sono così quasi tre generazioni di validi artigiani.
La
ditta Luppi vera e propria nasce nel 1960 ed era composta dal padre Mario,
dallo zio Giorgio e dall’altro Zio Vittorio che lasciò dopo poco tempo.
I primi
ricordi di lavoro del nostro imbanchino Paolo risalgono a quando a 10-12 anni
andava in cantiere con il padre e faceva il fattorino, allora non c’erano le
severe leggi di sicurezza di oggi, c’erano scale lunghe e corte e assi di legno
utilizzate a volte a cavallo dei davanzali delle finestre e bilanciate in modo
da poter tinteggiare gli esterni: gli imbianchini di una volta erano autentici
acrobati. Babbo Mario per il trasporto delle sue attrezzature: scale, assi,
bidoni, pertiche con pennellesse legate in cima, usava un “cariolino” con due
ruote da bicicletta e con l’asta del traino legata ad un motorino leggero a
miscela che allora era chiamato comunemente Mosqui-to. Con questo mezzo si
recava sui vari posti di lavoro, spingendosi fino a Bologna, Casalecchio, Isola
della Scala. Il lavoro dell’imbianchino aveva una sua gerarchia, c’era “il
mastar” (il maestro), che dirigeva il cantiere che è l’equivalente “dal cap
mastar” nel settore edile. Le case erano prima ripulite scrostando vecchie mani
di tinta e poi passate a calce diluita precedentemente in acqua, si usavano
allora le pompe a mano con il tubo a spruzzo come quelle che servivano dare il
verderame alle viti.
I
pennelli di vario spessore coprente venivano legati alla base per dare più
impronta con sottili corde ed erano usati in modo eccellente per tinteggiare
gli angoli e per le rifiniture di fino.
Il
mestiere dell’imbianchino di un tempo, come si è detto, era precario, come
erano precarie le impalcature che lo sostenevano, ma l’ambiente di lavoro era
sempre pervaso da un’atmosfera allegra, gli imbianchini cantavano e lavorando
si davano voce da un ambiente all’altro con vecchie stornellate, canzoni
melodiche e arie di romanze liriche famose; c’era competizione e vinceva quello
che teneva l’acuto più a lungo.
Erano
anche rinomati per essere scherzosi mattacchioni. Fra i ricordi del padre,
Paolo, ha ripescato una storia veramente accaduta: durante un lavoro importante
in un altro palazzo ci fu un’accesa discussione fra Mario e il geometra, pare
per motivo di preventivo. Tutti e due volevano aver ragione ad ogni costo e non
arrivavano ad un accordo. Il babbo propose una scommessa al tecnico, chi prima arrivava
a terra, il geometra per le scale e lui per il ponteggio avrebbe avuto ragione
sul motivo del contendere. Arrivò a terra per primo Mario.
Un’altra
volta in un appartamento a Bologna misero in atto uno scherzo. L’immobile era
ampio e mentre i nostri decoratori preparavano l’occorrente per imbiancare
furono avvertiti dalla padrona di casa di tenere per ultima la stanza in
corridoio (in questa dormiva il figlio nottambulo e non andava svegliato). La
signora uscì per le sue commissioni e allora scattò l’operazione lampo. Gli
imbianchini andarono nell’ultima stanza, coprirono delicatamente il giovanotto
che dormiva con i teli impermeabili e svelti svelti imbiancarono la stanza
prima dell’arrivo della signora. Il lavoro invero fu eseguito a regola d’arte
ma il figlio rimasto sotto i teli era semi soffocato.
Un
altro aneddoto per chiudere: Mario agli inizi della “carriera” non ancora ben
esperto lavorava in una chiesa insieme ad un decoratore anziano che si faceva
chiamare maestro-pittore; questo gli comandò di salire su una scala altissima a
rinfrescare i colori spenti di certi angeli – “Vai tu che sei giovane”, ma Mario
rispose un po’ per fifa un po’ per inesperienza che forse non era in grado di
portare a compimento il lavoro. Lo rassicurò il maestro: “Non ti preoccupare,
usa il pennello come sai, che tant da acsè luntàn anch al dievàl al per un
anzal” (tanto da così lontano anche il diavolo pare un angelo).
Successivamente
la tinteggiatura si è evoluta per ciò che riguarda l’utilizzo dei colori, ma la
manualità che una volta potremmo definire grezza è cambiata, ora
l’imbianchino-decoratore Paolo Luppi punta molto su un’accurata preparazione
dell’immobile con coperture curate al millimetro per la salvaguardia degli
arredi e l’assoluta pulizia. Una volta muratori e imbianchini erano l’incubo
delle donne di casa, ora a lavoro finito e a pareti asciutte, tolte le coperture,
la casa rinnovata è perfetta nella sua nuova veste e senza una macchia. Dice
Paolo che il suo intervento è l’ultimo anello della filiera edile ed essere
l’ottimizzatore di un ambiente gli dà una grande soddisfazione personale e
spesso è gratificato dal committente del lavoro.
Paolo è
un giovane quarantenne appagato da un mestiere che fa con passione, per
organizzare i suoi lavori si avvale di manovalanza stagionale perché d’inverno
si diradano le richieste, fa da solo “ciapini” di interni con pitture autosciuganti
veloci e non tossiche, ora ci sono vincoli europei da rispettare; cioè basse
soglie di tossicità, tinte ecologiche e non inquinanti.
Dopo
anni di mestiere insieme al padre ha acquisito la capacità di andare incontro
ad ogni esigenza del cliente, è diventato un po’ psicologo e alla base di ogni
rapporto di lavoro c’è il rispetto ed un’educazione che oggi purtroppo latita
in qualsivoglia ambiente.
Opera
“nel piccolo” ma all’occorrenza fa esterni di palazzi con ponteggi, gru e
cestello, si realizza a pieno nella verniciatura di telai, persiane, porte.
Ha eseguito un grosso lavoro di grande
soddisfazione all’inizio della Trasversale di Pianura; quando ha questi
incarichi da portare a termine lavora anche al sabato e alla domenica – un
esempio, per essere nei tempi stabiliti per la consegna ha lavorato anche il 1°
maggio. D’inverno come si è scritto in precedenza Paolo ha tempo per riposare,
ma poi per questo periodo si è tenuto un hobby di grande entusiasmo lavorativo,
è un carnevalaio e porta il suo mestiere nel cantiere dell’Oca Giuliva.
Parlando del suo mestiere il nostro
imbianchino si è dimostrato un ottimo manager di se stesso.
Se la pubblicità è l’anima del commercio,
bisogna aggiungere che è l’anima anche dell’artigia-nato: ha tre vetrine in Via
IV Novembre allestite con tutti gli attrezzi del mestiere, pennelli, rullo
gigante, cartelle colore per gli infissi, il tutto assemblato con un gusto e
uno stile molto accattivante.
Il suo curriculum stampato su brochure
elenca tutte le voci del suo progetto lavorativo, le specializzazioni, i
criteri, i preventivi gratuiti e l’utilizzo di prodotti ecologici di alta
qualità.
I mestieri come l’imbianchino,
l’idraulico, il falegname, il fornaio richiedono grande manualità e sono
richiesti e retribuiti il giusto, ma purtroppo i giovani dopo il diploma,
preferiscono andare all’Università e spesso ci si chiede perché mai in questi
anni di crisi i ragazzi snobbano questi lavori: “Non è meglio un buon
artigiano, si chiede Paolo, che un laureato disoccupato?”
Ha scritto in versi dialettali la
zirudela dl’imbianchéin dalla quale estraggo pochi significativi versi: Dopo
aver risolto un problema di cattivi odori in casa di una signora, compiaciuto
scrive in dialàtt e in italian:
… Ancà mé pecco d’orgoglio
ed ammetterlo qui voglio,
ho risolto quel problema
cmé un sculer pôl fér col tema
e nel farlo avevo in testa
Papà Mario, che a cà al rèsta
soul parchè non può adeguare
la salùt col voler fare.
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